Teatro

'Il tabulé di Tito'. Conversazione con Stefano Maria Palmitessa e i suoi autori

'Il tabulé di Tito'. Conversazione con Stefano Maria Palmitessa e i suoi autori

Debutterà il 03 maggio al Teatro Studio Keiros di Roma e sarà replicata fino a domenica 06, la pièce teatrale "Il tabulé di Tito", di Pino Tossici, Francesca e Natale Barreca, per la regia di Stefano Maria Palmitessa, con un cast composto da Giulia Tuzzi, Massimiliano Calabrese, Manuela Cipriani, Monica Maffei, Mary Fotia e Pino Tossici che vestirà i panni di Tito. Si tratta di uno spettacolo tratto dal "Tito Andronico" di Wiliam Shakespeare.
I 3 autori e il regista compongono la Compagnia teatrale Paltò Sbiancato, che già negli anni scorsi si era fatta notare con gli spettacoli "Fioretti d'amore" e "Alfabeto muto".
Conosciamo un po' meglio loro e lo spettacolo che stanno preparando, "Il tabulé di Tito".

1) Come è nata la vostra collaborazione?
PINO: Ci siamo incontrati tramite Stefano. E’ stato lui il punto d’unione. Io l’ho conosciuto per uno spettacolo, “Il giardino dei ciliegi”, che abbiamo fatto al Teatro Eliseo (nel 2008, regia di Claudio Jankowski, Pino Tossici interpretava il ruolo di Lopachin e Stefano Maria Palmitessa ha realizzato l'adattamento, le scene e i costumi, ndr). E poi ho ripreso questa collaborazione, lui voleva fondare una compagnia, e quindi mi ha interpellato e poi mi ha presentato Francesca.
E quindi è nata così, l’embrione di questo Paltò Sbiancato in cui Francesca, Natale e io, insieme, abbiamo cominciato a scrivere i lavori… questa è la genesi.
NATALE:  Io ho sempre avuto interesse per il teatro e mia sorella mi ha coinvolto in questo progetto.
FRANCESCA: Comunque è l’interesse per il teatro ovviamente… sennò non c’era stata st’unione…lui (indica Pino Tossici, ndr) perché recitava, a me piace il teatro, lui (indica Stefano Maria Palmitessa, ndr) fa il regista…

2) Perchè avete deciso di fare un adattamento di una delle tragedie meno note di Shakespeare, "Tito Andronico"?
NATALE: Da un indicazione di Stefano.
STEFANO: Faccio io una premessa… In realtà, al termine dello spettacolo dell’anno scorso, che era “Alfabeto muto”, il direttore del Teatro Keiros, dove debutteremo il 3 di maggio con questo nuovo spettacolo ("Il tabulé di Tito", ndr), mi disse: “Perché non facciamo uno spettacolo shakespeariano?… perché ho visto il tuo tipo di regia e mi sembra che si presti molto bene, che si adatti bene allo stile shakespeariano.”... Perché io faccio una regia a sezioni, è tutto un po’ staccato, sono tutti quadri separati… E quindi quest’idea l’ho un po’ maturata… Il direttore del teatro che è Daniele Valmaggi, ed è un attore di prosa, conosciuto, aggiunse “perché se lo fai, mi piacerebbe fare "Tito Andronico," vorrei fare io Tito".
Poi più in là la cosa con lui non è andata in porto perché lui aveva avuto altri impegni... ma Pino, Francesca e a Natale sono stati contenti di fare questo lavoro…

3) Conoscendovi, già so che avete cambiato qualcosa dell'originale...Lo si nota già a partire dal titolo: da "Tito Andronico" come è diventato "Il tabulé di Tito"?
NATALE: Non è un idea mia; è stata mia sorella a proporlo. Io l’ho apprezzata.
PINO (ironico, ndr): Ah, questo chiedilo a lei (Francesca Barreca, ndr) perchè è esperta in pasticci!
FRANCESCA: Esatto (ride, ndr) L’idea è venuta dal fatto che in "Tito Andronico" ci sono tutti morti ammazzati, cucinati, tutta questa gente un po’ così… e quindi mi è venuta l’idea di un tabulè. Il tabulè è un insieme di verdure… però da Tito è molto più “carne” che verdure ... e mi piaceva il titolo, un po’ orientale questo titolo… un po’ un misto di tutte queste verdure, trasportandolo al Tito e a tutta la sua vendetta, mi sembrava carino come idea.
PINO: (recita una battuta del "Tito Andronico", ndr) "della tua carne, della tua testa infame un pasticcio farcito”… Richiama, rievoca il tabulè… anche se un piatto vegetariano, in questo caso un po’ più cannibalico.

4) E rispetto al’originale shakespeariano, cos’altro avete cambiato?
PINO: Praticamente tutto.
FRANCESCA: Praticamente tutto
PINO: Praticamente è stato stravolto.

5) Da tragedia è diventata commedia?
FRANCESCA: No, no, no, però è rimasta l’idea della vendetta, cioè la parte tragica del “Tito Andronico” c’è. Ovviamente è stata modernizzata, attualizzata. Un po’ della parte di Shakespeare è rimasta…
NATALE: Abbiamo cambiato alcune cose, ma sopratutto aggiunto e modernizzato il testo tipo la locazione.
FRANCESCA: Non è in versi ovviamente, è più attualizzata come linguaggio, come ambientazione, però è rimasta sicuramente la crudeltà della vendetta e dei sentimenti.
PINO: Cioè nella sostanza il “Tito Andronico” è un lavoro sulla vendetta, sul potere, etc. etc. però il personaggio centrale che è Tito, in Shakespeare era una cosa e qui è un’altra.
In Shakespeare, Tito è il generale che torna vittorioso e trionfante dalla battaglia contro i Goti, si porta appresso la regina Tamora come schiava. E poi si trova lì in un impiccio perchè si trova i due figli dell’imperatore che è morto a contendersi il trono e decide di… etc etc.
Ma lui è un generale ed è un uomo giusto, il cui difetto massimo è che mette la legalità al di sopra di tutto. Questa è la tragedia di Tito Andronico! che lo porterà poi, per vendetta anche, a uccidere sua figlia. Cioè: Tito era uno che in guerra aveva perso 20 figli, nel dramma di Shakespeare, però torna e non fa una piega, nel senso che comunque lui è un generale, interpreta esattamente il suo ruolo legalista.
Poi succederanno una serie di fatti per cui Tito darà inizio a una serie di stragi e di vendette, eccetera, ma Tito in Shakespeare non è assolutamente un pazzo, è uno che segue assolutamente l’idea che al di sopra di tutto c’è il “ruolo”, al di sopra di tutto c’è la legge ed è quello che si deve fare.
Tito ne “Il tabulè di Tito”, invece, è pazzo. E quindi già questo cambia da così a così la cosa.
E quindi quelle che sono state introdotte e che poi hanno cambiato in itinere il personaggio è che ci sono scene un po’ surreali, delle scene grottesche in cui Tito è scisso, nel senso che da una parte sembra un mezzo cretino, da una parte sembra un effeminato, da una parte sembra uno psicopatico… Sostanzialmente ci sono tutta una serie di cose che potresti racchiudere nell’ambito della pazzia.
Questo è l’elemento che lo differenzia completamente dal lavoro shakespeariano in cui Tito non è stato mai un pazzo.
E quindi i risvolti sono completamente diversi.

6) Anche nei vostri passati lavori, come ad esempio in "Alfabeto muto", avevate questa predisposizione al surreale e al grottesco... Vi piace proprio questa caratteristica!
NATALE: Sì, abbiamo questa predisposizione perche tutti è tre noi autori siamo ispirati dal teatro surrealista.
FRANCESCA: (scherza, ndr): Sì, che è molto affine al regista!
STEFANO: Sì, io da tempo sono nel solco del teatro espressionista. Per me è la forma nella quale mi muovo meglio. Io apprezzo sempre più con difficoltà (perché sono sempre di meno e sono sempre meno professionisti) quelli che fanno il teatro cosiddetto naturalistico o realistico che dir si voglia perché a me non mi fa impazzire e poi deve essere fatto molto bene. Credo che sia un teatro che ha fatto il suo tempo. Credo che il cinema, la televisione, sostituiscano molto meglio questo genere.
C’è ancora qualche compagnia, ma sono sempre più rare, anche perché sono rari gli attori bravi che possono interpretare un ruolo veramente realistico.
Quindi penso che il teatro debba essere sopratutto un teatro di ricerca, di sperimentazione; e quindi nell’ambiente espressionista (dove sono i sentimenti, è l’anima, sono i simboli, i segni che sono all’interno di un testo quelli che contano) io mi muovo diciamo con piacere, con disinvoltura, perché mi ci sento a mio agio.
E quindi naturalmente, quando parlo con gli autori, o quando metto in scena i testi che loro mi consegnano sempre ho questa grande attenzione alla ricostruzione surrealista anche dello spazio scenico, che per me ha un significato fortemente simbolico, dove questo nascondere i personaggi o farli apparire corrisponde a situazioni spirituali dei personaggi o anche a momenti della narrazione di distinzione di fatti interiori.
Quindi, la scena viene costruita in base a questo.
In “Il tabulé di Tito” sono 13 sezioni, io le vedo un po’ come 13 quadri distinti e quindi la cifra che lo spettacolo ha è sicuramente molto molto simile a “Fioretti d’amore” che è sempre degli stessi autori e a “Alfabeto muto” dell’anno scorso.

7) Pino, tu oltre ad essere uno degli autori de "Il tabulé di Tito", sei anche uno degli attori che lo interpreteranno... e immagino che rivestirai il ruolo di Tito?
PINO: Sì… Embé è un personaggio difficile… Era già difficile sulla carta cioè nel senso che già come é stato scritto era un personaggio che variava fortemente da scena a scena… (Scherza, ndr) Stefano grazie a Dio lo ha reso ancora più complicato e quindi come al solito se ti può facilitare la vita…! Ovviamente scherzo!
E poi guarda, intendiamoci, da parte di un autore è sempre difficile spiegare il proprio lavoro.
Un autore in teoria non dovrebbe mai spiegare, perché un autore è un tramite, è subordinato, è uno strumento del proprio lavoro, è un tramite di quel che fa… E’ rivolto agli altri. Sono gli altri che lo leggono, sono gli altri che lo spiegano, sono gli altri che ne danno una versione e quindi è con loro il futuro.
E’ chiaro che se il lavoro va sul tavolo di Stefano esce un’opera, se va sul tavolo di un altro regista ne esce un’altra ovviamente, perché ognuno, poi, legge se stesso all’interno dei racconti, delle storie etc etc e quindi ci mette chiaramente i componenti della propria personalità.
Per l’autore questo da una parte è uno spiazzamento perché magari lui si è immaginato un personaggio tutto in una maniera, poi se lo trova tutto diverso ... la stessa frase come la reciti, la dici in un modo o in un altro, cambia completamente e così cambia il personaggio.
Dall’altra parte è un arricchimento perchè ti arriva specchiato un’altra visione che tu non avevi visto, qualcosa che ti era sfuggito.
Io credo che sia così sempre per chi scrive, per chi scrive libri, racconti, ... credo che siano i lettori che poi ti mandano un feedback. E questo è un po’ il mistero della scrittura.
STEFANO: Io aggiungerei su questo argomento (perché è un argomento che a me affascina) questa considerazione… io non so se loro sono d’accordo come scrittori...
Io ho fatto molti adattamenti teatrali come scrittore, anche.
Infatti io feci anche una versione del “Riccardo III” che nella versione che scrissi io si intitolava “Riccardo III on the beach” (2007, ndr) ed era fatta su una spiaggia, tutta la tragedia era organizzata in uno stabilimento balneare. E all’epoca io feci questo lavoro con un altro regista (regia di Claudio Jankowski, ndr) , io avevo fatto soltanto l’adattamento, lui aveva fatto la regia e quindi è venuto fuori uno spettacolo completamente diverso da quello che pensavo io.
Più o meno il discorso è quello che ha fatto Pino poco fa.
Soltanto volevo dire che per me c’è differenza tra la letteratura e la drammaturgia, la letteratura per il teatro.
Secondo me la letteratura è completa e finita così, così come noi la troviamo scritta in un libro, mentre la drammaturgia è un complemento dell’opera.
FRANCESCA: Anche perché senza il mezzo non ci sarebbe.
Tu puoi scrivere qualsiasi cosa ma se poi non hai il mezzo, l’attore, il regista per trasportarlo, te lo tieni per te.
Non è un romanzo, nel momento in cui lo imposto come dramma, come cosa da recitare, è chiaro che devi abbandonarlo a chi è in grado di trasmettere e ha il mezzo per portarlo al pubblico; quindi la capacità dell’attore, l’interpretazione del regista...
Chi scrive si ferma prima e lo mette in mano a chi viene dopo.
PINO: Infatti rispetto al romanzo che è finito è bello perché è anche una lezione di umiltà, nel senso che la scrittura di una sceneggiatura è un atto parziale, sia che tu lo faccia per il cinema, sia che tu lo faccia per il teatro, perché viene poi intermediata e arricchita da una serie di interventi che la cambiano:  l’intervento del regista che ne fa una lettura, un’analisi del testo che decide di dargli una linea; l’attore che fa cambiare idea al regista perché in quel momento dice una battuta in un certo modo, etc, e che ti rimanda a tutta una serie di significati.
Quando tu scrivi un romanzo, tu praticamente sei come il demiurgo, decidi che se vuoi fai morire il personaggio, sennò lo fai vivere, ma sei tu che decidi tutto, tu autore.
Nell’ambito della scrittura teatrale no. Innanzitutto la nostra è una scrittura comune per cui, chiaramente, c’è anche un confronto e un rimbalzo e poi c’è tutta la dinamica della dialettica scenica che vede la presenza di molti attori, tra cui il regista (autori nel senso che agisce sul testo che hai dato).
E’ molto bello perché ti da chiaramente una lezione di umiltà, cioè nel senso che poi quello che tu scrivi può essere anche nella sostanza cambiato. Tutto sta nelle parole.

8) Vi sorprende Stefano quando mette in scena le vostre opere, quando le vedete per la prima volta in scena?
PINO: Sì… sì
NATALE: Si, perchè la linea registica di Stefano è molto fantasiosa è intraprendente.

9) Non ve lo aspettate quello che poi lui farà?
NATALE: Conoscendolo possiamo in qualche modo immaginarlo!
PINO: No, assolutamente, io non me l’aspetto mai…(risata generale, ndr) Però, insomma, ecco, al terzo lavoro diciamo che ho capito…!
A volte fai anche fatica a metabolizzare certe cose, però poi insomma i ruoli sono i ruoli!
Io sono per il rispetto dei ruoli. In questo io sono un po’ Tito.
Cioè se io faccio l’attore, faccio l’attore… posso dare un’idea, un consiglio, un suggerimento, dire “questo mi piace”, “questo non mi piace”, ma chi dirige i lavori sono oneri et onori sul senso del discorso.
Perché senno non se ne esce.
Per esempio, in Tito lui ha messo un elemento di femminilità che io poi ci ho ritrovato ma non avevo visto. Questo elemento che verrà sceneggiato e quindi agito nella scena, non era per lo meno nell’intenzione mia, non c’era questa cosa.
C’era tanta altra roba però lui me l’ha restituita attraverso la sua lettura ed io ho detto “ma guarda un po!”
FRANCESCA: Però c’è da dire che indipendentemente dall’interpretazione, dal senso che gli vuole dare, riesce a mantenere sempre l’essenza del testo, in tutti e 3 i lavori che abbiamo scritto per lui, indipendentemente da come lo mette in scena... almeno per me che non recito (lo lascio a loro!) vengo dall’esterno, la sensazione che ho provato nella scrittura, nella collaborazione e poi nella messa in scena!
Anche se alcune cose non te le aspetteresti mai!
Io non ho immaginazione visiva quindi per me la trasposizione visiva non c’è, è solo immaginazione mia interiore. Nel momento in cui vedo delle cose che fa Pino, che fa Stefano, per come le mettono, anche se mi sorprendono come le mettono, delle caratteristiche vengono sempre rispettate cioè li può mettere sotto-sopra, non i piedi in su, recitano da un buco, però l’essenza rimane!
PINO: Sì, sono d’accordo
Poi devo dire che per me, si aggiunge l'esperienza d’attore: è un’altra dimensione che è soggetta a sorprese.
Mi sorprendo da solo a volte quando recito. Mi sorprendo perché lui mi chiede di fare delle cose che poi in qualche modo io vedo in linea col personaggio…
…Io mi occupo di scrittura autobiografica… (Pino Tossici collabora anche con la Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari e con l'Università Popolare della Tuscia a Viterbo, ha pubblicato diversi libri, tra cui il recentissimo "100 giorni sul comò" che, come lui sottolinea con orgoglio, andrà al Salone Internazionale del Libro di Torino a Maggio, ndr) ... Io consiglio sempre ai miei scrivani di fare questo sforzo: di leggere ad alta voce quello che scrivono per dare corpo alla cosa perché a quel momento la scrittura diventa anche sangue, diventa sensazioni, diventa corpo e tu te la senti!
C’è una differenza fondamentale tra leggere così e leggere ad alta voce.
Voglio dire che lì capisci tante cose in più. Ecco perché io dico ai miei scrivani “leggete ad alta voce!” perché la lettura ad alta voce da delle sensazioni corporee che ti fa capire tante altre cose che la lettura a mente, così, non fa…

10) Ci sono autori ai quali vi ispirate?
FRANCESCA: No.
NATALE: Brecht, Grabbe.
PINO: Io vado dietro proprio a quello che così… lascio di solito fruire la scrittura. E’ la scrittura che mi porta.
FRANCESCA: E poi con gli incastri si vede…
PINO: Poi ci ragioni, chiaramente fai le costruzioni, perché poi le cose c’hanno anche loro la parte di “mestiere”.
Però ecco, certi “insite” te li da solo la scrittura mentre ti porta.

11) Stefano, quali elementi registici hai usato in “Il tabulé di Tito”? Cosa ci dobbiamo aspettare?
STEFANO: Mi sono fatto questa fama di essere un po’ uno che fa un po’ delle sorprese. Io amo avere un pubblico sempre sulla corda. Sarà che amo tanto certi registi… Io apprezzo moltissimo Castellucci, apprezzo moltissimo Tadeusz Kantor, cioè tutti quei registi che non ti vogliono presentare il salottino con l’armadietto di cartone e le pareti di carta, che secondo me, come ti dicevo poco fa, non sono più presentabili in un mondo che ha la televisione, ha il cinema e ha tante altre cose.
Io preferisco e desidero sorprendere il pubblico nel senso che per me il teatro deve essere un gioco anche per chi sta in platea.
Il testo è molto importante perché io attraverso il testo costruisco una rete che determina un’attenzione da parte del pubblico al testo-suono.
Anche l’anno scorso (pièce "Alfabeto muto", ndr), in diversi momenti, delle parole venivano ripetute, erano viste nella loro sonorità e questo c’è anche in questo spettacolo ("Il tabulé di Tito", ndr). Dedico molta attenzione alla parola-suono.
Poi dedico altrettanta attenzione all’estetica, intesa non soltanto per quanto riguarda l’estetica visiva, quindi trucchi (che sono sempre curati dall’Accademia di Trucco Professionale), e costumi (lo spettacolo ha una nuance ben precisa… ci sono 3 colori, i costumi degli attori sono tutti quanti su tre colori quindi la scena ha una sua precisa definizione cromatica), ma anche all’estetica dei movimenti, per cui i miei attori non si muovono come si muovono le persone nella vita, o se si muovono come si muovono nella vita, si muovono per farmi da contro-scena, si muovono per far vedere come non si sta muovendo qualcuno, quindi è come un’ombra. Per me il realismo è un’ombra del mio teatro, se c’è è soltanto per farti vedere che non c’è. Perché in realtà a me serve ogni tanto far vedere Caravaggio perché io sto facendo un dipinto alla Lucio Fontana. E quindi ti voglio far vedere quanto sono lontano. Perciò ti metto qualche cosa di realistico che ti fa vedere un contrasto. Io amo i forti contrasti. Quindi naturalmente un’estetica del movimento, un’estetica legata anche alla musica perché ci sta anche una parte danzata. La coreografia è come sempre di mia figlia, Mara Palmitessa.
Abbiamo la scenografia: c’è una macchina scenica costruita apposta per noi e che ci serve per spostarci (un po’ alla Ronconi, tanto per capirci) che è di Silvano Martorana.
E poi ci sono le musiche originali che io ho curato che fossero scritte esclusivamente per il nostro spettacolo. Quindi tutte le musiche sono tutte quante già preparate e pensate per questo spettacolo. E sono di Silverio Scramoncin.
Tutto va nella direzione di una sinestesia tra le varie arti, una contaminazione continua tra un’arte e l’altra. Quando si parla in realtà si canta. Quando si canta ci si muove in una certa maniera. Quando ci si muove in una certa maniera, si fa della letteratura vera e propria.
Questo effetto di straniamento, non brechtiano, ma insomma uno straniamento…

12) Stefano, io so che tu sei un grande seguace di Grotowski e del teatro mitteleuropeo...
STEFANO: Sì, a me piace molto tutto il teatro della zona della Polonia, il teatro mitteleuropeo…Ma, vedi, il teatro polacco qui da noi è sconosciuto.
Mentre invece, il teatro polacco è la mamma di tutte le avanguardie del teatro sperimentale europeo, perché Witkiewitc, Rucievic, Kantor, ne potrei citare almeno un’altra mezza dozzina, sono dei geni totali, ... Gombriwitcz…

13) Questi sono i padri della regia…
STEFANO: Esatto. Però non si sa questa cosa. Da noi c’è una disinformazione incredibile su questo argomento.

14) A proposito di padri e madri del teatro, secondo voi, perchè la gente ama tanto Shakespeare a distanza di 450 anni?
NATALE: Perchè tratta temi universali e attuali
FRANCESCA: Tocca tutti i sentimenti umani.. Li ha fatti tutti, al meglio! Quindi, chi si può avventurare a perfezionarli?
PINO: Sì, come i classici! I classici, tutti, c’hanno sempre il potere di raccontarti ancora qualche cosa di nuovo perchè affondano nella modernità.
A me quello che piace in Shakespeare è quello che diceva Coleridge, cioè che è uno scrittore androgino.
Shakespeare è uno che (ed è qui il discorso che facevo anche prima di Tito) ha unito la scrittura maschile a quella femminile, ha un’anima maschile e ha un’anima femminile, e si sente molto in Shakespeare e questo è probabilmente il fascino.
Lo dico perché proprio ieri (25 marzo, ndr) sono andato a vedere uno spettacolo teatrale su Virginia Wolf e ... Virginia Wolf era quella che parlava appunto della scrittura androgina di Shakespeare e io lo trovo di grande completezza perché non sono tanti gli scrittori che hanno questa grande sensibilità anche femminile.
STEFANO: Volevo soltanto aggiungere questo… A me piace moltissimo l’interpretazione che di Shakespeare da René Girard. Per me è stato il più grande (anche più di Jan Kott), il più grande esegeta di Shakespeare e secondo me è l’autore-critico teatrale che più si è avvicinato all’autentica ragione dei lavori di Shakespeare.
In particolare aveva individuato il desiderio mimetico che è all’interno di tutti i lavori di Shakespeare, o di quasi tutti, e secondo me è stato veramente geniale perchè i lavori di Shakespeare si fondano quasi tutti proprio su questa…, sennò alcuni sarebbero addirittura impossibile comprenderli, sulla necessità che ha il protagonista dello spettacolo di amare una cosa che ama il suo amico e di invaghirsene solo perché se ne è invaghito un altro. Questa per me è una delle chiavi di lettura più grandi.
FRANCESCA: “Molto rumore per nulla”…
STEFANO: “Molto rumore per nulla”… Se tu guardi gli spettacoli in questa chiave, ti accorgi che alcune cose che sembrerebbero assurde delle vicende, sia nella parte del teatro eufeistico di Shakespeare, ma anche nel drammatico, anche nel tragico, tu vedi che c’è quasi sempre una persona che sta bella tranquilla e che improvvisamente si innamora, si impazzisce di passione per un’altra persona di cui non gliene fregava assolutamente nulla, solo perché questa persona interessa a una persona che magari lui stima.
FRANCESCA: E’ tutta la vita...! Per questo lui ha toccato tutto perché nessuno di noi fa una cosa se non è l’invidia, la gelosia, ... qualsiasi sentimento che è negativo il più delle volte e ti spinge a metterti a confronto con gli altri. Perché tu per te stesso andresti bene, però se quello si è comprato la macchina, tu ti devi comprare un’altra macchina, se quello si è comprato una cosa più bella… cioè poi si scatena tutto un insieme.

15) L'ultima domanda: una parola chiava per definire "Il tabulé di Tito" quale può essere?
FRANCESCA: Crudele! Per me è la crudeltà.
PINO: Un insieme di tragedia, direi, e di humor nero.
NATALE: E’ una storia tragica che si ritrova anche nei tempi moderni. Il regista è riuscito ad evidenziare proprio questo nella sua messinscena.
STEFANO: Per me, è un piatto freddo servito in un locale molto caldo.

Grazie... e a presto!